venerdì 20 gennaio 2012

Un passo avanti verso le centrali a fusione

La fusione nucleare è il processo che alimenta il Sole e le altre stelle. Da anni ormai gli scienziati di tutto il mondo stanno cercando di riprodurre questo fenomeno in laboratorio in modo tale da poterne ricavare energia. All'interno del tipo più comune di reattori sperimentali, i così detti "tokamak", idrogeno gassoso viene scaldato fino a temperature di milioni di gradi in modo da innescare la reazione di fusione. A queste temperature l'idrogeno si ionizza passando dallo stato gassoso a quello di plasma (che in questo caso è composto da nuclei di idrogeno ed elettroni). La fusione vera e propria avviene quando, all'aumentare della temperatura, le energie cinetiche di agitazione termica degli nuclei di idrogeno nel plasma sono sufficientemente alte da permettere a due di essi avvicinarsi a tal punto, superando la repulsione elettromagnetica, da far prevalere l'interazione forte, "fondendosi" insieme a formare un nucleo di elio. Questo processo libera una enorme quantità di energia. Nei tokamak il plasma è confinato da particolari campi magnetici che fanno si che questo non tocchi le pareti della camera di reazione; in caso contrario questo, raffreddandosi immediatamente, impedirebbe alla reazione di avvenire.
Il problema con questo tipo di reattori è che, a volte nel plasma appaiono delle "instabilità magneto-idrodinamiche" (instabilità MHD), che, espandendosi e perturbando il plasma ne causano il deconfinamento con conseguente raffreddamento. La sfida quindi è quella di ridurre o prevenire la formazione di queste instabilità per permettere al reattore di continuare a funzionare normalmente. I metodi consolidati per il controllo di queste turbolenze magneto-idrodinamiche consentono un buon controllo del fenomeno, ma sono fortemente "energivori", riducendo così, in modo significativo, l'efficienza energetica del reattore.

Ora un gruppo di ricercatori dell'École Polytechnique Fédérale di Losanna (EPFL) è riuscito a sviluppare un metodo alternativo di controllo delle instabilità MHD, descritto in un articolo pubblicato su "Nature Communications", che promette di poter migliorare significativamente la situazione. Utilizzando le stesse antenne usate per riscaldare il plasma nel tokamak i fisici svizzeri sono riusciti a smorzare le instabilità sul nascere generando nuove popolazioni di ioni altamente energetici nel plasma. Dopo aver effettuato delle accurate simulazioni numeriche il metodo è stato testato con successo sul Joint European Torus (JET, il più grande reattore a fusione finora costruito.

Questa tecnica potrà essere applicata anche a ITER, l'enorme reattore dimostrativo, attualmente in costruzione nel sud della Francia, che dovrebbe entrare in attività nel 2019 (qui il link al bel sito ufficiale del progetto). La fusione nucleare, fornendo la possibilità di produrre immense quantità di energia in modo assolutamente pulito a partire dall'idrogeno (ottenibile ad esempio dall'acqua di mare e quindi virtualmente inesauribile) è senza dubbio la chiave del futuro energetico a lungo termine dell'umanità. In proposito Osamu Motojima direttore generale di ITER ha affermato:

"Crediamo fermamente che riuscire a imbrigliare l'energia da fusione sia il solo modo di far fronte all'enorme domanda di energia con cui, sempre di più, l'umanità si troverà a fare i conti. La posta in gioco è la possibilità di conciliare la crescita, necessaria per continuare a migliorare le condizioni di vita della maggioranza della popolazione mondiale, con i rischi ambientali derivanti dagli attuali metodi di produzione dell'energia. Noi pensiamo che l'uso dell'energia da fusione sia un "must" se ci si vuole seriamente avviare su una strada di sviluppo sostenibile per le future generazioni."

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